Teorie di riferimento

Teorie di riferimento


Nello scenario variegato della psicoanalisi contemporanea, ci ispiriamo al pensiero di Joseph e Anne Marie Sandler, così come si è sviluppato nei lunghi anni di ricerca e applicazione clinica presso l’Anna Freud Centre di Londra.

Il nostro lavoro quotidiano è il frutto di anni di formazione teorica e confronto clinico presso il Centro Studi di Psicoterapia Psicoanalitica, Psicopedagogia e Metodologia Istituzionale di via Ariosto 6 Milano, Centro con il quale i coniugi Sandler hanno sviluppato un lungo e proficuo lavoro di collaborazione. 

Tale confronto ha preso nuova linfa proseguendo il lavoro, a partire dal 2011, con il dottor Giovanni Pieralisi, Direttore della Scuola di Psicoterapia Psicoanalitica con sede a Ravenna.

La caratteristica innovativa del pensiero sandleriano consiste nello sforzo di integrare le principali prospettive teoriche psicoanalitiche in un quadro armonioso di riferimento.

Tale sforzo ha portato a definire Sandler, da Tomas H. Ogden, come il leader di una “ rivoluzione silenziosa” nel pensiero psicoanalitico, nonostante egli non abbia mai costituito formalmente una propria scuola. Il cardine del pensiero psicoanalitico di Joseph ed Anne Marie Sandler si situa nel concetto di mondo rappresentazionale elaborato insieme con Bernard Rosenblatt a partire dal 1962, con il lavoro sui sentimenti di sicurezza (1960) e completato con il “modello delle tre scatole” (three-box model) del 1994.

All’interno di questi due poli di sviluppo troviamo i concetti teorico-clinici ed applicativi ed insieme di evoluzione della teoria della tecnica psicoanalitica come attualizzazione e rispondenza di ruolo, relazioni d’oggetto interne, identificazione proiettiva, transfert e controtransfert.

Il modello “a tre scatole”: prevede tre contenitori, o meglio, tre livelli di analisi.

Nella prima scatola, l’inconscio passato ha un contenuto orientato soltanto al passato e rappresenta il bambino dentro l’adulto. Esso si situa fuori del campo esperienziale; è primitivo, ma non si limita alle pulsioni. Consiste di fantasie inconsce, con aspetti difensivi, di rassicurazione, di soluzione di problemi. I desideri che provengono dalla prima scatola sono perentori e diretti alla ricerca di soddisfacimento nell’ottica esclusiva del passato. Una prima censura, tra prima e seconda scatola, è concepita come analoga alla barriera repressiva di Freud.

Nella seconda scatola, l’inconscio presente ha un contenuto orientato al presente. Contiene anch’essa fantasie inconsce, con aspetti difensivi, di rassicurazione, di soluzione di problemi, ma tali fantasie qui sono sotto l’influenza delle richieste del presente, non più solo nell’ottica esclusiva del passato.  Nella situazione clinica, sono esplicitate attraverso il transfert. La seconda censura, tra seconda e terza scatola, è essenzialmente diretta ad evitare sentimenti di vergogna, imbarazzo o umiliazione.

La terza scatola è rappresentata dalla coscienza che si situa e si apre nel mondo esterno, rendendo i propri confini permeabili (verso l’esterno).

Da questo modello, integrando le conoscenze scaturite da recenti studi sulla memoria,  il pensiero sandleriano si evolve nel concetto di “bambino passato/inconscio passato e bambino presente/inconscio presente in cui emergono almeno due aspetti clinici particolarmente importanti:

1. il contenuto della prima scatola, rappresentato dalle matrici (memoria implicita o procedurale) del tutto inaccessibile alla coscienza, perché al di fuori del campo esperienziale, è immodificabile per via diretta; esso può essere modificato invece in via indiretta, per quel tanto che la psiche adulta adatta i derivati dell’inconscio passato nell’inconscio presente;

2. di conseguenza, il materiale nella seconda scatola può essere reso appropriatamente accessibile, a patto e nella misura in cui il terapeuta riesca ad aiutare il paziente ad oltrepassare la seconda censura, mettendo a disposizione un’atmosfera di tolleranza, accettazione e benevolenza che indebolisca l’inibizione costruita sui sentimenti d’imbarazzo, di vergogna e di umiliazione.

Joseph Sandler ha sempre sottolineato con forza, nel suo insegnamento, la parte giocata dai sentimenti di benessere e sicurezza nella regolazione dei meccanismi di funzionamento mentale.

Le manifestazioni sintomatiche possono essere intese come tentativi individuali di procurarsi uno scudo protettivo allo scopo di mantenere un’esperienza di equilibrio psichico (sicurezza); è quando un lavoro di tal genere fallisce che il paziente viene spinto alla terapia.

Lo scopo del trattamento

Lo scopo del trattamento psicoterapeutico psicoanalitico è, per Sandler, di aiutare i pazienti ad accettare ciò che è in prima istanza inaccettabile e cioè le parti infantili di sé che hanno fatto insorgere conflitti dolorosi. Si tratta di una impostazione che ha una posizione centrale nell’attività di insegnamento e supervisione.  “… l’analista mira ad aiutare il paziente ad accettare, alla fine del processo analitico, i suoi aspetti di desiderio infantile che hanno suscitato conflitti dolorosi e che sono diventati una minaccia nel corso del suo sviluppo. Di conseguenza, l’analista persegue l’obiettivo di condurre il paziente a tollerare i derivati di queste parti di sé che sono presenti nel suo pensiero e nelle sue fantasie consce.

Per dirla in un altro modo, lo scopo analitico fondamentale è condurre il paziente a “diventare amico” delle parti precedentemente inaccettabili di sé stesso e a convivere con le fantasie e i desideri in precedenza minacciosi. Fare ciò significa che l’analista deve procurare, per mezzo delle sue interpretazioni e del modo in cui le porge, un’atmosfera di tolleranza verso tutto ciò che è infantile, perverso e ridicolo, un’atmosfera che il paziente può rendere parte del suo proprio atteggiamento nei confronti di sé stesso e che può internalizzare unitamente alla comprensione che ha raggiunto nel suo lavoro con l’analista” (Joseph ed Anne Marie Sandler, 1984).

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